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L’instabile economia del Kenya: un Paese in crescita, ma ancora molto povero

Il debito pubblico

“Secondo te, qual è il principale problema del Paese di cui il Governo dovrebbe occuparsi con urgenza?”.

Per la prima volta da dieci anni a questa parte, la risposta più frequente che i cittadini kenioti hanno dato al sondaggio svolto da Afrobarometer è stata la gestione dell’economia. Subito dopo, nella scala delle priorità espresse, compaiono altri due temi strettamente legati all’economia: la corruzione e la disoccupazione.

Negli ultimi anni il Kenya ha compiuto notevoli passi avanti verso gli obiettivi di sviluppo economico fissati nella Visione 2030, che mirano a rendere il Paese “più competitivo e prospero, con un’alta qualità della vita” entro il 2030. Il tasso medio di crescita dell’economia nazionale nell’ultimo decennio è stato del 4,5% circa, rendendo il Kenya una delle economie più floride del continente africano.

Questo dato non deve però ingannare: il Kenya rimane comunque un Paese molto povero, in cui la ricchezza non è distribuita e vi sono enormi disuguaglianze. Basti pensare che il 10% della popolazione detiene più della metà della ricchezza nazionale (circa 65 miliardi di dollari di PIL), mentre la metà dei kenioti – oltre 27 milioni di persone – vive con un dollaro al giorno.

Oltre a ciò, il grande debito pubblico, l’indebolimento dello scellino e la crescita dell’inflazione stanno mettendo a dura prova il Governo e, soprattutto, i cittadini del Paese.

Durante gli ultimi anni, il Governo keniota ha effettuato considerevoli investimenti in infrastrutture e stipulato prestiti per il finanziamento di progetti strategici allo sviluppo economico. Così si spiega la crescita del debito pubblico, che è arrivato a toccare il suo massimo storico (70 miliardi di dollari) e superato il 67% del PIL.

Uno sguardo all'economia del kenya

Il primo problema legato a tali manovre è la composizione del debito, costituito in parte significativa da prestiti provenienti dall’estero e in particolare dalla Cina, che negli ultimi anni ha investito prepotentemente in Africa sub-sahariana. Tale tendenza, peraltro, sembra proseguire anche sotto il Governo dell’attuale presidente William Ruto, nonostante i toni critici da lui stesso assunti nei confronti di questa politica durante la campagna elettorale del 2022.

La crisi dello scellino

Il secondo aspetto problematico della questione risiede nel fatto che lo scellino keniota sta attraversando il peggiore periodo di svalutazione della sua storia: in dieci anni, infatti, la valuta nazionale ha perso circa il 45% del suo valore (21% soltanto nel 2023), con pesanti ricadute su vari aspetti dell’economia del Paese.

valuta dello scellino nel tempo

La combinazione di questi due fattori sta aggravando la situazione, rendendo l’economia esposta alle fluttuazioni dei tassi di cambio valutari: se, infatti, lo scellino è debole rispetto alle valute estere in cui è denominato il debito pubblico, il costo per ripagare tale debito aumenta in termini di valuta nazionale. Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è il fatto che l’instabilità politica ed economica globale – basti pensare che negli ultimi quattro anni il mondo ha dovuto affrontare una pandemia e due guerre tuttora in corso – influenza pesantemente la fiducia degli investitori internazionali nella capacità dello Stato africano di ripagare i propri debiti.

A completare il già difficile quadro che caratterizza la più grande economia dell’Africa Orientale, il tasso di inflazione che si attesta attualmente intorno al 7%. Nonostante questo valore rientri nella fascia di valore ritenuta accettabile, compresa tra il 2,5% e il 7,5%, la posizione della Banca Centrale del Kenya (CBK) rimane ferma: non saranno applicati tagli ai tassi di interesse sui prestiti – 12,5%: i più alti degli ultimi undici anni – finché non verrà stabilizzato il tasso di cambio valutario che, secondo la CBK, contribuisce a quasi metà del tasso di inflazione.

L’obiettivo dichiarato della Banca Centrale è far scendere il tasso di inflazione al 5%. Mantenere i tassi di interesse così alti, determinando così un “raffreddamento” dell’economia del Kenya fino a quando non sarà raggiunto tale livello di inflazione, potrebbe rappresentare una grande sfida per un Paese che sta attraversando una fase di sviluppo economico-politico molto delicata e instabile.

Secondo gli osservatori, solo una parte del problema può essere affrontata dalla Banca Centrale, mentre del resto deve farsi carico il Governo, promuovendo in primis riforme e politiche in grado di ridurre la dipendenza del Kenya dai creditori esterni, nonché investimenti che puntino alla crescita economica all’interno di un’ottica di sostenibilità del debito.

Tutto ciò senza dimenticare chi sconta le conseguenze di tali manovre e decisioni: i milioni di cittadini kenioti per i quali il 2023 è stato un anno estremamente difficile, che ha visto la crescita vertiginosa dei prezzi dei beni di consumo, la grande perdita di potere d’acquisto dello scellino, l’aumento delle tasse e la stagnazione dei salari.

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