Elezioni Kenya 2022: La storia politica del Kenya

Il prossimo 9 di agosto in Kenya si terranno le elezioni politiche.

Il Kenya, paese in cui operiamo da più di 15 anni, è un paese attraversato da divisioni molto forti, sia su base etnica e tribale sia su base socio-economica. Le elezioni rappresentano quindi un momento molto importante per il paese, e sono spesso interessate da scontri, proteste e violenze.

Un appuntamento davvero importante che può cambiare il futuro prossimo del Kenya, e con esso quelli di milioni di bambini e bambine in condizione di estrema povertà. Ma che può anche semplicemente reiterare i soliti vecchi schemi, gli stessi sistemi clientelari e le stesse forme di politica predatoria che i kenioti ben conoscono.

Proprio per questo motivo, vogliamo raccontarvi in modo dettagliato questa nuovo appuntamento elettorale, spiegare chi sono i principali candidati e su cosa si scontrano, quali sono le questioni più importanti che si decideranno durante queste elezioni, ma anche quale ruolo avrà il Kenya nello scenario politico africano e mondiale.

Per questo motivo comincia oggi il nostro speciale Elezioni Kenya 2022. E comincia con un approfondimento sulla storia politica del Kenya. Capire da dove siamo partiti per immaginare quale direzione prenderà il paese.

La storia politica del Kenya

Come ogni storia che si rispetti, anche la nostra comincia dall’inizio. E non potrebbe essere altrimenti: la situazione politica keniana attuale e che culminerà nelle elezioni di agosto ha infatti origine nello stesso processo di indipendenza che ha dato vita al paese dell’Africa orientale.

La storia coloniale del Kenya

Capire la storia politica del Kenya permette anche di capire lo scenario politico ed elettorale attuale.
Il paese è stato sottoposto alla dominazione britannica fin dalla fine del XIX secolo, con l’istituzione del Protettorato dell’Africa Orientale. I primi effetti della colonizzazione britannica furono ambivalenti: se da una parte vi fu la costruzione di numerose infrastrutture e la messa a coltivazione di ampie zone del territorio, dall’altra migliaia di coloni britannici si stabilirono nel paese, importando anche migliaia di indiani (anch’essi sottoposti a dominio britannico) come manodopera.

Già nei primi anni del XX secolo assistiamo alle prime e acerbe forme di anti-colonialismo da parte della popolazione locale. Negli anni ’20 fu infatti creato la Kikuyu Central Association, un’associazione in rappresentanza della maggioranza Kikuyu nel paese. A presiederla, un assoluto protagonista della storia keniana: un giovanissimo Jomo Kenyatta.

Durante la seconda guerra mondiale, il Kenya ebbe un ruolo fondamentale nella campagna britannica contro i possedimenti coloniali italiani in Etiopia e Somalia. Circa 100000 soldati locali furono coinvolti nei combattimenti. A seguito di ciò, vi fu un forte incremento del nazionalismo keniano. Dopo la guerra, i soldati tornati alla vita civile cercarono di mantenere lo status che avevano ottenuto tramite il conflitto, cercando di stabilirsi come nuova classe media del paese. Questo portò ad una nuova forma di insoddisfazione per lo status quo e le relazioni sociali con il governo coloniale.

Nell’immediato dopoguerra la Gran Bretagna iniziò a rivedere la gestione del suo immenso impero coloniale, gettando le basi per il processo di decolonizzazione e aprendo per la prima volta alla rappresentanza della popolazione locale. Nel 1952, il nuovo consiglio legislativo keniano vedeva infatti la partecipazione di 6 rappresentanti africani, inizialmente scelti dal governo e successivamente eletti democraticamente, seppur non con un suffragio universale.
Questo portò alla nascita di sempre più movimenti sociali e dei primi partiti politici come il Nairobi People’s Convention Party.

L’indipendenza

Nelle elezioni del 1961 il Kenya assistette alla prima vittoria elettorale di partiti africani e anticolonialisti che portarono alla formazione di un nuovo governo capeggiato da Kenyatta e da Ronald Ngala, rispettivamente leader della KANU( Kenya African National Union ) e del KADU (Kenya African Democratic Union ). Proprio questi due partiti saranno protagonisti nel processo di indipendenza, avvenuto in accordo con il governo inglese nel 1963.

I due partiti ebbero l’incarico di decidere la forma istituzionale da dare al nuovo stato keniano. Si accordarono per una forma di Stato federale. Il Kenya otteneva la piena autonomia il 1º giugno 1963 e l’indipendenza e la sovranità il 12 dicembre 1963 (entrambe le data sono oggi festa nazionale) nell’ambito del Commonwealth e con a capo la regina Elisabetta d’Inghilterra. Il 12 dicembre 1964 diventava una Repubblica di tipo presidenziale: Jomo Kenyatta ne era eletto primo presidente, carica che avrebbe mantenuto fino alla morte, avvenuta nel 1978.

La presidenza di Jomo Kenyatta

Kenyatta divenne quindi una figura fondamentale della storia del kenya ma anche di tutto il Novecento africano. Usò a proprio vantaggio la sua posizione da padre della patria, istituendo un regime sostanzialmente monopartitico che lo mantenne al potere, come detto, fino alla sua morte. La sua politica tradì rapidamente le promesse in ambito sociale che aveva fatto prima dell’indipendenza, marcando invece una forte continuità in cambio economico con il periodo coloniale e difendendo gli interessi dalla borghesia di stampo britannico e della nuova alta borghesia keniana che si stava costituendo proprio in quel periodo di transizione.

Il governo di Kenyatta fu anche caratterizzato dalla sua gestione personalistica e familiaristica. Centro assoluto del potere, il presidente, che rimase in carica fino alla morte, distribuì gli incarichi di stato esclusivamente tra i parenti e gli appartenenti al suo clan. Inoltre utilizzò la corruzione come sistema di gestione degli affari economici e statali.

Il potere della KANU

Dopo la morte di Kenyatta, il potere venne assunto dal suo vicepresidente: Daniel Toroitich arap Moi.

Il 1º agosto 1982 un gruppo di ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica  tentarono un colpo di Stato facendo inizialmente soccombere le forze leali al Presidente. Il colpo di stato fallì, finendo paradossalmente per rafforzare il governo di Moi.

Moi colse infatti quest’opportunità per cacciare gli oppositori e consolidare il potere. Ridusse l’influenza degli “uomini di Kenyatta” nel Governo durante la lunga inchiesta giudiziaria che identificò negli stessi i traditori. Moi li perdonò ma non prima che fosse chiaro pubblicamente il loro ruolo di cospiratori. Nominò i suoi collaboratori più fidati nei ruoli chiave e modificò la Costituzione per stabilire de jure un sistema a partito unico.

Moi mantenne il potere fino al 2002, anno in cui scelse di ritirarsi, cedendo la posizione come leader della KANU a Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo.

Il nuovo secolo di politica keniana

Tuttavia, nelle elezioni del 2003 il Kenya assistette alla prima alternanza democratica dopo 40 anni di indipendenza. Uhuru Kenyatta, pagando la continuità con l’impopolare governo di Moi, perse le elezioni contro Mwai Kibaki, già ministro di Kenyatta e per dieci anni, dal 1978 al 1988. Presentandosi candidato alle elezioni del 2003, Kibaki poté finalmente prevalere grazie all’appoggio di un’opposizione unita in uno stesso fronte, la National Rainbow Coalition (NARC).

Nel 2005 Kibaki propose una nuova Costituzione che fu bocciata da un referendum popolare, segno di una perdita marcata di consensi che si manifestò con drammaticità all’indomani delle elezioni del 2007, quando la sua rielezione innescò una spirale di violenza, che provocò decine di vittime. Alla guerra civile ha posto fine nel 2008 un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale fra Kibaki e il suo primo oppositore Raila Odinga, figlio di Jaramogi Oginga Odinga, ex vice presidente del Kenya durante il governo di Jomo Kenyatta.

Nel 2010 è stata approvata dal Parlamento e da un referendum popolare una nuova Costituzione che mantiene il sistema presidenziale, ma prevede la devoluzione di alcuni poteri e prerogative a livello locale, la creazione di una camera alta del Parlamento al fine di monitorare la gestione degli affari locali, l’introduzione di una Carta dei diritti e l’istituzione di una Corte suprema.

Come già avvenuto per le consultazioni del 2007, anche le presidenziali tenutesi nel 2013 si sono svolte in un clima di forte tensione sociale: pesanti disagi si sono registrati nella fase di spoglio dei voti per il malfunzionamento dei sistemi elettronici di invio dei dati, e reiterate accuse di brogli sono state lanciate dal premier Odinga, leader della Coalition for reform and democracy (CORD), che si è visto battuto di misura dal vicepremier e candidato della Jubilee coalition Uhuru Kenyatta (50,7% delle preferenze).

Nelle elezioni del 2017  Il Presidente uscente Uhuru Kenyatta fu dichiarato vincitore del voto presidenziale con il 54,17% dei voti, mentre il principale rivale Raila Odinga finì secondo con il 44,94% dei voti. L’opposizione sosteneva di aver in realtà vinto, e che il governo stesse tentando di manipolare i risultati elettorali. L’opposizione si appellò alla Corte Suprema, che si espresse citando il mancato rispetto del processo tecnico richiesto dalla Costituzione e dalla legge, pertanto la Corte dichiarò che le elezioni “non si erano svolge in accordo con la Costituzione”, annullò i risultati delle elezioni e ordinò l’indizione di nuove elezioni entro 60 giorni.

Se da una parte questa decisione conferma la lenta ma costante crescita dello stato di diritto in Kenya, dall’altra la portata politica della dichiarazione della corte suprema venne notevolmente mitigata dalla decisione di Raila Odinga di non partecipare alle nuove elezioni, lasciando Kenyatta senza un sostanziale rivale e portandolo ad una maggioranza bulgara.

Come abbiamo visto in questo breve viaggio nella storia politica keniana, il Kenya vede una propria politica interna affetta da fattori molto comuni in Africa: scarsa alternanza nelle istituzioni, familismo con la creazione di vere e proprie dinastie, modifiche costituzionali molto frequenti che aumentano ancor di più il tono dello scontro.

Il Kenya, nonostante sia uno dei paesi dell’Africa Sub-sahariana con una democrazia parzialmente funzionante, presenta quindi un quadro politico e soprattutto una storia politica molto complicata.

Nel prossimo articolo, vedremo quali sono i principali attori politici di questa tornata elettorale Kenya 2022.

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