I Masai, un popolo sotto sfratto

Gli sfratti dei Masai sono un problema diffuso in molte parti dell’Africa, dove spesso si trovano in conflitto con governi, organizzazioni internazionali e altri gruppi che cercano di utilizzare le loro terre per scopi economici o di sviluppo.

Il governo della Tanzania ha deciso di sfrattare 70 mila pastori Masai dalle proprie terre ancestrali per affittarle a una società degli Emirati Arabi Uniti, che trasformerà la zona in un’area di caccia e turismo d’élite. Il governo tanzaniano ci aveva provato l’ultima volta nel 2017. Nell’agosto di quell’anno, le abitazioni tradizionali Masai, erano state date alle fiamme dai ranger e dalla polizia nella divisione di Loliondo, distretto di Ngorongoro, nella regione di Arusha.

Un totale di circa 6800 persone erano state costrette con la forza e con le minacce ad abbandonare i propri villaggi in seguito agli sgomberi forzati, azione cui era seguito il sequestro del bestiame e l’arresto arbitrario di diversi individui.

Le comunità dei Masai sono tradizionalmente pastorali e dipendono dalle terre per pascolare il loro bestiame. Tuttavia, a causa di una crescente pressione demografica, della deforestazione e di altri fattori ambientali, le loro terre sono sempre più oggetto di preoccupazione e contesa.

Da diversi anni i Masai accusano le autorità tanzaniane di volerli espellere dai loro habitat storici e naturali per trasformarli in aree per safari o caccia privata, cosa che il governo nega. Si sono verificati scontri a Loliondo, 125 chilometri a nord di Ngorongoro. 

Nel corso degli anni, il governo ha imposto restrizioni alle comunità Masai residenti nella riserva, quali la proibizione di coltivare su piccola scala, di costruire nuove case, di raggiungere fiumi e grotte dove possono abbeverare e proteggere le mandrie di bestiame. 

Secondo le popolazioni, le politiche governative hanno l’obiettivo di costringerli a lasciare la loro area nativa volontariamente rendendo impossibile viverci dignitosamente.

Sottrarre le terre agli indigeni per farne delle aree protette o delle zone di conservazione è un evidente pretesto per cacciare in modo violento le popolazioni locali dalle terre che appartengono loro di diritto e che meglio di tutti sanno come tutelare e curare, per trasformarle in fonti di introito per lo Stato.

Le persecuzioni da parte del governo

Migliaia di Masai sono scappati dalle loro case per rifugiarsi nel bush e sfuggire a una brutale repressione da parte della polizia.

L’8 giugno, decine di veicoli della polizia e circa 700 funzionari sono arrivati a Loliondo nella Tanzania settentrionale, per demarcare un’area di 1.500 kmq di terra masai e trasformarla in un’Area Protetta.  

Il 10 giugno hanno sparato ai Masai che protestavano contro i tentativi di sfratto e almeno 18 uomini e 13 donne sono stati colpiti con armi da fuoco, mentre 13 persone sono state ferite con i machete ed è stata confermata la morte di una persona.

La polizia poi, ha iniziato ad irrompere in casa per casa nei villaggi masai, picchiando e arrestando chi riteneva avesse diffuso le immagini delle violenze o avesse preso parte alle proteste. Un uomo di 90 anni è stato picchiato dalla polizia perché il figlio era accusato di aver filmato la sparatoria. 

Per affrontare questo problema, molti gruppi stanno cercando di trovare soluzioni sostenibili che consentano ai Masai di conservare le loro terre e il loro stile di vita tradizionale, mentre allo stesso tempo consentono lo sviluppo sostenibile e la conservazione dell’ambiente. Questo richiede una stretta collaborazione tra i governi locali, le organizzazioni internazionali e le comunità locali per trovare soluzioni che funzionino per tutti gli interessati.

Con l’intento di cercare di contrastare lo sfratto della popolazione dei Masai, è stata lanciata una petizione che ha già superato le 95mila firme e che è diretta al governo tanzaniano e all’Unesco, responsabile di Ngorongoro da quando l’area venne riconosciuta patrimonio mondiale nel 1979.

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