Le proteste contro il caro vita infiammano il Kenya

Nelle ultime settimane il paese africano in cui operiamo ormai dal 2006 è stato attraversato da numerose proteste e manifestazioni contro il caro vita che sta abbassando di molto il potere d’acquisto della popolazione.

I manifestanti hanno lanciato pietre alla polizia a Nairobi e gli aggressori hanno dato fuoco a un ufficio gestito dal partito del presidente Ruto.

Migliaia di persone si sono unite alle marce indette dal leader dell’opposizione Raila Odinga contro l’alto costo della vita e presunte frodi nelle elezioni dell’anno scorso. Odinga sta cavalcando le proteste per rafforzare la propria posizione, anche in vista delle prossime elezioni politiche. Il governo ha affermato che le elezioni sono state corrette, ha difeso il suo bilancio economico e ha chiesto che le proteste cessino.

La violenza ha anche segnato le proteste di lunedì e quelle del lunedì precedente, suscitando appelli alla calma da parte dei leader civici che temevano una discesa nella violenza di carattere etnico.
In questo momento le proteste si organizzano in giorni fissi della settimana, lunedì e giovedì, e coinvolgono le fasce più povere della popolazione, quelle più colpite dall’aumento dei prezzi.

Il prezzo di 2 kg di farina di mais, un alimento di base, è infatti aumentato a 179,98 scellini (1,36 dollari) a febbraio, rispetto a 134,79 a aprile 2022.

L’inflazione in Kenya è salita al 9,2% su base annua a febbraio, dall’9,0% del mese precedente, in gran parte a causa dei prezzi dei prodotti alimentari e dei trasporti.

I manifestanti hanno accusato il presidente William Ruto di malgoverno, mentre i suoi sostenitori hanno accusato Odinga di sfruttare la rabbia per l’aumento dei prezzi, un fenomeno globale, per ottenere concessioni politiche e un possibile ruolo nel governo.

La situazione sembra essere sempre più tesa, per questo motivo monitoreremo l’andamento delle proteste, raccontandole sul nostro blog!

Come le proteste impattano il lavoro di Alice for Children

Manifestazioni di questo tipo e che presentano un clima sempre più teso non possono che influenzare anche il nostro lavoro nelle baraccopoli.

Gli abitanti dello slum sono infatti i primi a essere colpiti dal caro vita, non è difficile immaginare come le proteste abbiano presto preso spazio anche tra le comunità delle baraccopoli.
In questo momento, in concomitanza delle proteste di lunedì e giovedì abbiamo deciso di limitare l’ingresso a scuola dei nostri bambini, procedendo a chiuderle nel caso in cui fosse necessario per proteggere la loro incolumità.

Speriamo che la situazione si risolva il prima possibile. Perdere giorni di scuola non è soltanto un danno per l’istruzione dei nostri bambini, ma anche un problema dal punto di vista alimentare. Il pasto quotidiano che i bambini ricevono a scuola è una garanzia fondamentale per la loro alimentazione.

Allo stesso tempo, la maggior parte degli abitanti dello slum è costretta ad assentarsi dal lavoro proprio nei giorni di protesta. Chi per parteciparvi, chi per per evitare di essere coinvolto in eventuali scontri.
Questo rappresenta un duro colpo per i bilanci familiari dei nostri bambini. Non poter lavorare per due giorni a settimana significa poter guadagnare ancor meno soldi, aver ancor meno da mangiare.

Per questi motivi abbiamo intensificato il sostegno alimentare alle famiglie dei nostri bambini sostenuti a distanza, per poter garantire la loro sicurezza alimentare in questo momento difficile!
Nella speranza che la situazione migliori il prima possibile sia da un punto di vista politico che da un punto di vista socio-economico.

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