Kenya, il problema dei suicidi di massa nelle sette religiose

Nel corso dell’ultimo fine settimana la polizia del Kenya ha riesumato altri 22 corpi di persone che si ritiene si siano lasciate morire di fame per seguire un culto religioso di ispirazione cristiana. In totale i seguaci del culto trovati morti nelle ultime settimane sono arrivati a 201. Si contano ancora oltre 600 dispersi.

La vicenda è stata definita dai media locali come il “massacro di Shakahola” ed è uno dei peggiori casi di questo tipo nel Kenya. Anche il predicatore a capo del culto, Paul Mackenzie, era noto da tempo alle autorità per le sue idee estreme: è stato arrestato assieme ad altre persone a lui vicine ed è sotto processo con l’accusa di aver convinto centinaia di persone, tra cui famiglie con bambini, a lasciarsi morire di fame «per incontrare Gesù».

I corpi sono stati rinvenuti nella tenuta di Mackenzie nella foresta di Shakahola, a ovest di Malindi, nella parte meridionale del paese, dove erano stati sepolti in decine di tombe e fosse comuni. A fine aprile grazie ad alcune segnalazioni ne erano stati trovati 47, ma con il proseguire delle ricerche il numero è via via aumentato. Secondo i risultati delle prime autopsie molte di queste persone sono morte per l’inedia, ma su altre sono stati osservati segni di asfissia, strangolamento e colpi violenti che potrebbero averle uccise.

Mackenzie era già stato arrestato a marzo con l’accusa di essere coinvolto nella morte di alcune persone nella sua tenuta ma poi era stato rilasciato su cauzione. È stato arrestato nuovamente a metà aprile, quando la polizia aveva soccorso 11 suoi seguaci in fin di vita, tre dei quali portati in ospedale in condizioni gravi. Al momento si trova in custodia cautelare ed è accusato di omicidio, terrorismo e altri reati.

L’importanza della religione per i keniani e il pericolo di gruppi fondamentalisti

Il Kenya ha circa 53 milioni di abitanti, è uno dei paesi più moderni dell’Africa e uno di quelli con le economie più solide del continente. La gran parte della sua popolazione è protestante o cattolica, mentre circa un quinto dei residenti si identificano come cristiani evangelici. 

È molto comune incontrare per le strade di Nairobi e delle principali città del Kenya tutta una serie di cartelloni e pubblicità che segnalano la chiesa più vicina, retta da un pastore indipendente. Cartelloni con slogan altisonanti e grafiche sgargianti, molto diverse dal costume religioso a cui siamo abituati.

Il problema principale sorge quando questo rapporto con la religione, con tanti piccoli pastori indipendenti, si sposa con un livello di povertà estremo di moltissime persone che vivono nel paese. Soprattutto nelle baraccopoli di Nairobi, in cui operiamo da più di 15 anni, l’appartenenza ad un culto religioso viene vista come parte integrante della propria vita di comunità, ma anche come una speranza per un riscatto in una vita futura, un modo per dimenticare e per sopportare meglio le difficoltà quotidiane.

Messaggi pericolosi come quello di Mackenzie hanno più presa su persone vulnerabili e che vivono una condizione di estremo bisogno, proprio come i milioni di abitanti delle baraccopoli.

La nostra organizzazione aveva già avuto a che fare con gli effetti nefasti che la propaganda religiosa di Mackenzie aveva sulla comunità delle baraccopoli. Anni fa, avevamo infatti ospitato ad Alice Village, il nostro orfanotrofio, alcuni bambini i cui genitori erano finiti all’interno della setta.
Nel corso del tempo questi ultimi ne erano usciti, riacquisendo la potestà dei loro figli e ricostruendosi una stabilità personale e familiare.

Purtroppo, nelle ultime settimane hanno fatto perdere le loro tracce e c’è la possibilità che siano ancora una volta coinvolti nella setta.
Una situazione molto delicata che stiamo ancora monitorando, ma che ci sembrava giusto raccontare, per far capire quanto questi casi di cronaca, che sembrano molto lontani, colpiscano direttamente la vita di tantissime persone e l’attività quotidiana di realtà come la nostra.

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