Percorrendo le strade caotiche di Nairobi, soprattutto delle aree più popolari, si incontrano spesso degli strani veicoli, coloratissimi, rumorosissimi e pienissimi di gente.

Si tratta dei matatu, dei veri e propri bus privati che svolgono la funzione del trasporto pubblico, e che attraversano tutte le strade della capitale keniana.

Sono spesso colorati e abbelliti da graffiti che ritraggono personaggi del cinema, della cultura africana, del mondo dello sport o del wrestling. Attirano l’attenzione di qualunque occidentale si trovi lungo la strada. Al suo interno, decine di keniani si dirigono al loro luogo di lavoro, di studio o alla loro abitazione.

Senza i suoi matatu, la città di Nairobi si ferma quasi completamente. Questo accade circa 10-15 volte all’anno quando i lavoratori vanno in sciopero. Ogni volta che sospendono la loro corsa frenetica per le strade, tutto nella città rallenta. Il centro cittadino diventa silenzioso, gli uffici restano vuoti, i negozi chiudono le loro porte e gli ultimi pedoni rimasti possono camminare tranquillamente sui marciapiedi.

Non ci sono treni o tram per i pendolari, il traffico e le cattive condizioni delle strade rendono impossibile il ciclismo e, purtroppo, il governo fornisce solo pochi autobus irregolari e inefficaci. Poiché poche persone possono permettersi auto private, la maggioranza della popolazione si affida a questi minibus di proprietà privata che hanno dominato la città negli ultimi cinquant’anni.

La storia dei matatu

Fin dagli inizi degli anni ’60, i matatu hanno fornito trasporti ad almeno il 60% della popolazione della città e l’industria dei matatu è diventata il più grande datore di lavoro della cosiddetta “economia popolare”, fornendo mezzi di sostentamento a meccanici, tassisti, riscossori di tariffe, autisti, artisti e altre attività connesse.

Ancora più significativo è il fatto che l’industria dei matatu è l’unica grande attività commerciale in Kenya che è rimasta quasi interamente di proprietà e gestione locale. In altre parole, fin dai suoi inizi, è rimasta libera dall’influenza degli aiuti stranieri o dei lavoratori stranieri. L’industria dei matatu è autonoma. I proprietari e i lavoratori se la cavano da soli, senza aiuti stranieri o supporto governativo e nonostante la concorrenza sovvenzionata, l’interferenza governativa e la corruzione sistemica.

Per diverse decadi ormai, l’industria dei matatu ha fornito un raro esempio di un’attività altamente redditizia che si è rivelata vitale per lo sviluppo di Nairobi e la sua identità. Come ha osservato l’acclamato scrittore e attivista keniota Binyavanga Wainaina, “I matatu sono Nairobi e Nairobi sono i matatu”.
In effetti, i matatu fanno così parte della vita della città che non è un’esagerazione dire che la moderna Nairobi non avrebbe potuto prendere forma senza l’invenzione di questi colorati mezzi. I due elementi non possono essere separati. Sono troppo interdipendenti, troppo strettamente intrecciati.


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