Gen Z Kenya

L’attivismo digitale della Gen Z in Kenya

Durante le recenti settimane il Kenya – sia nella capitale Nairobi che in tante altre città – è stato agitato da imponenti e vigorose proteste popolari scatenate da una controversa proposta di legge finanziaria. Il testo avanzato dal Governo di William Ruto prevedeva infatti un aumento delle tasse su svariati beni di prima necessità come la farina, il pane e la benzina, che si sarebbe inserito in un quadro di già grande instabilità e precarietà economico-politica della società keniota.

La protesta dei giovani

Come è emerso chiaro sin dall’inizio delle manifestazioni, questa ondata di malcontento popolare si è distinta dalle precedenti per una caratteristica in particolare: è guidata dalla Gen Z, la generazione folta e compatta di giovani ragazzi e ragazze che hanno deciso di scendere in piazza per far sentire la propria voce e giocare un ruolo attivo nella politica del proprio Paese.

Un altro aspetto fondamentale di questa stagione di proteste in Kenya è stata segnata dall’importanza rivestita dai social media nella diffusione dei messaggi di contestazione e l’organizzazione del dissenso.

È innanzitutto indicativo che gli slogan simboli della protesta – #RejectFinanceBill, #OccupyParliament, #RutoMustGo, etc. – siano tutti veicolati sotto forma di hashtag, segnale dell’origine nel mondo digitale delle voci di dissenso.

Il fenomeno a cui stiamo tuttora assistendo in Kenya è inedito, poiché l’ostinato ed energico movimento ha assunto caratteristiche e adottato modalità completamente nuove e – per molti aspetti – moderne.

Leaderless, tribeless, fearless

L’attivismo digitale, che nasce e si sviluppa online, ha permesso innanzitutto due cose fondamentali.

In primis, la possibilità di ridurre tempi e distanze fisiche e – quindi – di coinvolgere capillarmente un’estesissima massa di giovani insoddisfatti e desiderosi di cambiamenti radicali a livello politico e sociale. In particolare, il malcontento popolare si è catalizzato contro le carenze e le storture imputate all’attuale classe politica nel suo intero: corruzione, avidità, inefficienza, arroganza. Lo stesso scioglimento del Governo con conseguente rimpasto effettuato di recente da Ruto è stato letto solo come una mossa di facciata, tesa in realtà a mantenere lo status quo al quale i manifestanti si oppongono con forza.

In secondo luogo, l’organizzazione di queste manifestazioni è stata di tipo orizzontale: non è possibile identificare un vero e proprio leader e – comunque – i personaggi di spicco del movimento non sono figure politiche o in alcun modo legate alla classe dirigente, bensì attivisti e personaggi noti online. Ciò permette una spinta vitale alla protesta molto più forte e compatta, proveniente “dal basso”, dall’unione di giovani cittadini nel nome di una causa ritenuta giusta e andando oltre le tradizionali divisioni tribali, politiche e sociali.

Non è un caso che uno degli slogan principali che identificano la protesta sia Leaderless, tribeless, fearless (“senza leader, senza tribù, senza paura”).

Ciò che conta, adesso, è la compattezza del popolo keniota, i cui giovani hanno deciso di mettere da parte le differenze tra i vari gruppi, per unirsi sotto la bandiera dell’equità, della giustizia e della libertà.

È anche per questo che, di fronte ai vari tentativi di dialogo o alle concessioni avanzate dal Governo (es. il ritiro della proposta di legge; il licenziamento dei ministri del gabinetto di Governo; le intenzioni dichiarate di trovare un compromesso) la protesta giovanile si è mostrata intransigente. L’obiettivo non è semplicemente opporsi all’attuale Governo e alle sue politiche, ma scardinare un intero sistema di clientelismo, favoritismo, corruzione e mala gestione radicatosi nei decenni, attraverso maggioranze politiche di qualsiasi colore.

I giovani, dimostratisi disposti a tutto – anche a morire, purtroppo – pur di ottenere una vittoria, chiedono a gran voce una riforma radicale della politica keniota, che vogliono vedere incentrata su nuovi principi quali il merito, la trasparenza e la responsabilità.

Se in passato, durante gli anni Ottanta, la protesta veniva organizzata nelle aule universitarie dagli studenti che si opponevano al regime monopartitico dell’epoca, oggi i luoghi della resistenza sono le piattaforme social come Instagram, Twitter e TikTok.

Grazie alla democraticità sostanzialmente illimitata che caratterizza il mondo di internet, è stata possibile l’organizzazione di una contro-narrazione rispetto ai media tradizionali, che spesso tendono a sottostimare o trascurare i movimenti di dissenso popolare. Tramite gli hashtag, i meme e i reel rapidamente circolati online, le voci che solitamente si trovano ai margini della società hanno avuto l’opportunità di esprimersi e dare corpo al proprio malcontento.

Una nuova stagione?

Quello che arriva dal Kenya è un segnale molto forte per il resto del continente africano – dove infatti stanno rapidamente prendendo forma altri movimenti di protesta popolare, come in Uganda, Ghana e Nigeria – e per il mondo intero.

Le generazioni dei giovani, che in un continente come l’Africa rappresentano una maggioranza demografica solida ma priva di reale potere politico o economico, stanno combinando l’indignazione e il malcontento con l’uso strategico del social media e di internet, facendo intravedere il possibile inizio di una stagione di quelle che potremmo definire “Primavere subsahariane”.

Gli esiti di questa delicata e instabile fase politica sono difficili da prevedere, ma i segnali di una svolta del sistema keniota verso una maggiore inclusività, tutela dei diritti e della democrazia sono incoraggianti.

Noi speriamo di sì

Come Alice for Children, ci auguriamo che questi movimenti possano avere un seguito e, soprattutto, degli effetti concreti e duraturi.

Gli sforzi che mettiamo in campo attraverso i nostri progetti vanno proprio in questo senso: crescere generazioni di ragazzi e ragazze che hanno avuto la possibilità di ricevere un’educazione completa significa dare loro gli strumenti per diventare cittadini attivi e consapevoli.

Oltre a permettere ciò attraverso le nostre scuole, che coprono il percorso scolastico di migliaia di bambini dall’asilo alle superiori, abbiamo creato un corso di educazione civica attraverso il quale forniamo loro le basi per poter diventare soggetti attivi nel cambiamento della loro comunità e della società keniota. 

© Immagine di Arnold Okoth

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