displacement in Africa

Violenza, fame, clima: displacement e migrazioni forzate in Africa

È giunto il momento di parlare del fenomeno del displacement in Africa, un fenomeno sempre più rilevante negli equilibri del continente.

Le persone costrette a fuggire dai paesi più esposti all’emergenza climatica, a catastrofi correlate ai cambiamenti climatici, alluvioni, siccità, desertificazioni, eventi che distruggono mezzi di sussistenza e alimentano conflitti costringendo alla fuga, sono detti ecoprofughi o migranti climatici.

Ma le migrazioni forzate avvengono soprattutto entro i confini dei paesi e dei continenti interessati dai disastri. Si parla di sfollati interni e del fenomeno di ‘sfollamento’, o displacement in inglese.  

Migrazioni forzate: Il displacement in Africa

Lo sfollamento, ovvero il fenomeno di displacement, di migrazione forzata interna al continente africano, avviene a seguito di diversi fattori, di natura differente. Ma si possono individuare due ampie tipologie di fattori che costringono a lasciare la propria terra: 

  1. conflitti e violenze;
  2. disastri naturali o cambiamenti climatici.

Secondo l’ultimo report del 2020 dell’IDMC, International Displacement Monitoring Centre, del Norvegian Refugee Council, il 98% sul totale degli sfollamenti dovuti a disastri sono stati causati da condizioni meteorologiche estreme, come alluvioni e tempeste. L’aumento delle temperature ha determinato l’intensità e la frequenza di questi eventi che, uniti ai conflitti, nel 2020, hanno generato 40,5 milioni di sfollamenti interni (vale a dire persone che si sono spostate anche più di una volta da un luogo all’altro) portando il numero totale degli sfollati nel mondo a 55 milioni. La cifra più alta registrata negli ultimi dieci anni. 

Dei 40,5 milioni di sfollamenti interni, 30,7 sono dovuti a disastri naturali e 30 milioni sono il risultato di eventi legati al clima. Oltre 23 milioni delle persone colpite hanno un’età inferiore ai 18 anni. Nell’Africa sub-sahariana 6,8 milioni di sfollati lo sono a causa dei conflitti, 4,3 milioni come conseguenza di disastri ambientali. Individui per i quali non ci sono scelte e non c’è scampo. Nonostante contribuisca solo al 7,1% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra, l’Africa-subsahariana è una delle regioni che subiscono maggiormente gli impatti dei cambiamenti climatici

Il displacement in Africa causato da conflitti e violenze

Più di 32 milioni di africani sono sfollati interni, rifugiati, o richiedenti asilo, rispetto ai 29 milioni di un anno fa. Dieci paesi africani rappresentano l’88% (28 milioni) di tutti gli sfollati forzati nel continente. Ciascuno di questi primi 10 paesi di origine è in conflitto.  Sette su dieci hanno governi autoritari. Di questi 32 milioni di sfollati forzati, tre quarti sono sfollati interni.

Ciò significa che la maggior parte degli sfollati africani è fuggita nel primo rifugio sicuro. Qualche volta ciò comporta l’attraversamento di un confine. La maggior parte delle volte non è così. Questo dettaglio è importante perché ulteriori leggi internazionali di protezione sono attivate una volta che uno sfollato con la forza al di fuori del loro paese di origine (come la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951 e la sua 1967 Protocollo o la Convenzione dell’OUA sui rifugiati del 1969).

I rifugiati climatici

Situazioni estreme che – ipotizzano gli analisti di settore – potrebbero spingere nuovi flussi migratori verso l’Europa. E l’Italia, Paese di primo approdo dall’Africa, potrebbe già nelle prossime settimane trovarsi stretta in una triplice morsa e dover affrontare un lavoro impegnativo sull’accoglienza: ai profughi ucraini in arrivo via terra da Nord (più di 101.000, 70.000 dei quali hanno già chiesto asilo), si aggiungono quelli in partenza dal Nord Africa (Libia e Tunisia) ma anche quelli che sbarcano sulle coste ioniche provenienti dalla Turchia e dalla Grecia. Una rotta, quest’ultima, che si prevede in costante aumento per la grande fuga degli afghani, e non solo quelli riusciti a riparare nei Paesi confinanti dopo la vittoria dei talebani.

La Banca Mondiale: Cosa fare?

I dati sui paesi dell’Africa occidentale e del bacino del Lago Vittoria mostrano che i punti caldi della migrazione climatica potrebbero emergere già nel 2030 ed evidenziano che senza un’azione concreta per il clima e lo sviluppo, l’Africa occidentale potrebbe vedere fino a 32 milioni di persone costrette a spostarsi all’interno delle loro propri paesi entro il 2050

“Dai pastori che viaggiano nel Sahel ai pescatori che sfidano i mari, la storia dell’Africa occidentale è una storia di migranti climatici. Poiché i paesi stanno sperimentando aumenti delle temperature, piogge irregolari, inondazioni ed erosione costiera, gli africani dovranno affrontare sfide senza precedenti nei prossimi anni”, afferma Ousmane Diagana, vicepresidente della Banca mondiale per l’Africa occidentale e centrale. “Questa serie di rapporti identifica le priorità dell’azione per il clima che possono aiutare i paesi a muoversi verso uno sviluppo verde, resiliente e inclusivo e generare opportunità per tutti gli africani”.

Gli impatti dei cambiamenti climatici a insorgenza lenta, come la scarsità d’acqua, la minore produttività dei raccolti e degli ecosistemi, l’innalzamento del livello del mare e le mareggiate causeranno sempre più la migrazione delle persone. Alcuni luoghi diventeranno meno vivibili a causa dello stress da caldo, di eventi estremi e della perdita di suolo, mentre altre aree potrebbero diventare più attraenti in conseguenza dei cambiamenti indotti dal clima, come l’aumento delle precipitazioni. Incustoditi, questi cambiamenti non solo porteranno alla migrazione indotta dal clima, aumentando potenzialmente le vulnerabilità esistenti e portando a un aumento della povertà, della fragilità, dei conflitti e della violenza

L’impatto del displacement sulle grandi città africane

Il displacement ha un grandissimo impatto sulla tendenza all’urbanizzazione diffusa ormai in tutta l’Africa. Le città africane sono sempre più popolose e spesso abitate da milioni di persone sotto la soglia di povertà e che vivono in baraccopoli ai margini o all’interno del tessuto urbano.

Questo è quello che vediamo ogni giorno nelle baraccopoli di Nairobi, in cui operiamo da più di 15 anni. Qui, milioni di persone vivono in baracche di pochi metri quadri, senza acqua corrente o elettricità.
Qui, sempre più persone accorrono dalle zone rurali del territorio keniano, aumentando ancor di più la condizione di povertà e di indigenza.

Qui noi lavoriamo per assistere sempre più bambini, portarli a scuola e garantire loro un futuro.

Vuoi saperne di più sul Displacement in Africa? Nel suo calane YouTube il nostro presidente, Diego Masi, spiega nel dettaglio il fenomeno:

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