Le elezioni politiche keniane hanno decretato, al momento, la vittoria di William Ruto. Mentre i ricorsi alla corte costituzionale continuano, è il momento di analizzare il voto e soprattutto la partecipazione della popolazione.
Un dato molto interessante riguarda l’affluenza giovanile alle urne, in deciso calo rispetto al 2017.
Qualche dato…
il Kenya ha visto una diminuzione nel numero di giovani iscritti alle liste elettorali. Rispetto al 2017, si è assistito ad un calo del 5,27%.
I giovani tra i 18 e i 35 anni rappresentano circa il 40% dell’elettorato registrato per votare. Sembrerebbe un dato incredibile e che testimonierebbe una grandissima partecipazione dei giovani al voto, ma bisogna tenere da conto che gli under 35 rappresentano il 75% della popolazione del paese.
Il calo nella registrazione elettorale tra i giovani rappresenta una tendenza comune a tutta la popolazione. Nonostante ci si aspettasse un aumento di circa 6 milioni tra i registrati per votare, l’aumento vero e proprio è stato di solo 2,5 milioni.
Questi dati vanno a spiegare il dato sull’affluenza effettiva alle urne: il 64% contro il 78% del 2017 e l’86% del 2013. Tendenze preoccupanti che destano ulteriori dubbi sullo stato di salute della già debole democrazie keniana.
Perché i giovani non vanno a votare?
È difficile capire esattamente quali siano le motivazioni che spingono i giovani keniani lontano dal voto. Sicuramente l’immobilismo della classe politica, avvertita distante dalla popolazione, rappresenta un fattore importante. La situazione economica di gran parte della popolazione, peggiorata dalla pandemia e dalle restrizioni imposte dal governo ha sicuramente accentuato questa distanza tra la politica e il cosiddetto paese reale, in particolar modo i più giovani.
Situazione economica del paese che non è stata affrontata seriamente dai candidati presidenziali, o quanto meno questa è stata l’impressione della popolazione che non ha risposto “presente” alla chiamata alle urne.
Lavorare per un maggiore senso civico nei giovani
Spiegazioni che, oggettivamente, non sono abbastanza convincenti. È probabile che il sistema educativo in Kenya non riesca a imprimere un sufficiente senso civico nei ragazzi e le ragazze del Kenya.
È una tendenza a cui assistiamo ogni giorno lavorando con ragazzi e ragazze nelle baraccopoli di Nairobi, ma anche dialogando con le loro famiglie. Se da una parte non si lavora abbastanza sulla formazione civica dei bambini e delle bambine, dall’altra è forte la sensazione dei keniani e dei giovani keniani di essere sudditi più che cittadini, di essere alla mercé della classe politica corrotta e predatoria che occupa le posizioni di potere nel paese da decenni.
La scarsa partecipazione elettorale non è che la naturale conseguenza di uno scollamento totale dei giovani dalla vita pubblica. Ma è anche un circolo vizioso, perché la mancanza di un cambio generazionale nella classe politica nazionale non fa altro che allontanare ulteriormente i giovani dall’impegno politico e dal voto.