La piaga del lavoro minorile in Africa rappresenta una delle sfide più importanti che cerchiamo di vincere, sia nelle baraccopoli di Nairobi che nella comunità Masai di Rombo, dove operiamo.
Nel corso di questi tredici anni all’interno delle baraccopoli di Nairobi il nostro lavoro si è perfezionato ed è cambiato con il crescere della nostra conoscenza ed esperienza dei problemi che affliggono le famiglie della comunità degli slum. Tuttavia, il nostro scopo primario e quello da cui è nato tutto il nostro progetto sul campo è sempre stato quello di togliere i bambini dallo sfruttamento all’interno della discarica di Dandora per portarli a scuola e dare loro un futuro degno di questo nome.
Il lavoro minorile ai tempi del Covid
Nel corso degli ultimi anni, sia nel nostro piccolo che in tutto il mondo, si sono fatti passi avanti enormi nella battaglia contro il lavoro minorile. Secondo le Nazioni Unite, infatti, negli ultimi vent’anni il numero di minorenni impiegati illegalmente in lavori informali nel mondo è diminuito di 94 milioni di unità. Purtroppo, a causa della pandemia e delle sue conseguenze questa tendenza positiva si sta invertendo in modo preoccupante.
Unicef e l’International Labour Organization hanno pubblicato un report in cui analizzano questo fenomeno, che è tornato a far paura soprattutto nelle zone più vulnerabili del pianeta.
Le Nazioni Unite e altre istituzioni internazionali avevano stimato che a causa della pandemia entro la fine del 2020 ci sarebbero stati nel mondo da 40 a 60 milioni di nuovi poveri (dagli 85 ai 420 milioni di poveri in più rispetto al 2018, a seconda degli scenari economici che si sarebbero presentati).
Mentre in alcune parti del mondo le opportunità lavorative in calo e i guadagni dimezzati stanno portando moltissimi adulti verso il lavoro cosiddetto informale (che dà meno garanzie ma che assicura entrate immediate), in luoghi infernali come le baraccopoli di Nairobi, neanche il lavoro in nero, sospeso durante il lockdown, ha potuto impedire l’emergenza alimentare in atto, che ha portato inevitabilmente all’aumento dello sfruttamento lavorativo dei bambini.
Il lockdown nelle baraccopoli di Nairobi
Come vi abbiamo raccontato, molte famiglie degli slum hanno mandato i propri figli da parenti in altre città o villaggi keniani, dove la vita costa meno e dove i bambini hanno cercato di contribuire al fabbisogno famigliare lavorando come pastori, minatori o domestici. Moltissimi ragazzi e bambini rimasti negli slum hanno lavorato come tassisti, venditori ambulanti o sono purtroppo stati costretti a prostituirsi.
La chiusura delle scuole ha coinvolto il 90% degli studenti, circa 1,6 milioni tra bambini e ragazzi. Sebbene nel mondo molte scuole abbiano optato per la didattica a distanza (come hanno fatto anche molti istituti scolastici keniani) questa soluzione non ha giovato a quasi la metà della popolazione mondiale che non ha alcun accesso a internet. Moltissimi studenti nel mondo sono rimasti isolati, senza la possibilità di studiare e imparare. I più grandi hanno scelto quindi da soli di trovare un impiego per poter aiutare la famiglia, mentre i più piccoli sono stati costretti a farlo.
La nostra battaglia per difendere i diritti dei bambini degli slum non si è mai fermata, anche se non è mai stata così dura. Nel corso di quest’anno le scuole hanno prima riaperto, per poi richiudere successivamente durante la primavera. Allo stesso tempo, il secondo lockdown ha rappresentato un ulteriore aggravamento delle condizioni lavorative di migliaia di abitanti dello slum.
Povertà e impossibilità di frequentare la scuola che rappresentano cause principali del lavoro minorile in Africa.
Ora le scuole sono fortunatamente riaperte, con la speranza che non richiudano più per ragioni sanitarie.
Solo grazie all’aiuto dei nostri sostenitori abbiamo potuto affrontare l’emergenza di questi ultimi mesi e continuare a tenere i bambini lontani dall’inferno del lavoro in discarica.
Con il sostegno di tutti, continueremo a farlo.