Le mutilazioni genitali femminili (MGF), anche note come circoncisione femminile, sono una pratica consistente nella rimozione parziale o totale delle parti esterne dei genitali femminili per finalità non mediche.
In cosa consistono le mutilazioni genitali femminili?
Esistono diverse modalità di intervento classificabili come MGF, differenziate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in quattro tipologie a seconda della loro invasività:
- Tipo I – clitoridectomia: rimozione totale o parziale della clitoride.
- Tipo II – escissione: rimozione della clitoride e delle piccole labbra.
- Tipo III – infibulazione: restringimento dell’orifizio vaginale ottenuto tagliando e riposizionando, mediante cucitura, le piccole labbra o le grandi labbra.
- Tipo IV – pratiche dannose per i genitali: uso di piercing, cauterizzazione, incisione, raschiamento, utilizzo di acidi.
È bene sottolineare che le mutilazioni genitali femminili costituiscono interventi invasivi, non necessari e che non portano benefici.
Le conseguenze delle MGF sono gravissime e si manifestano sia sul piano fisico che quello psicologico della persona sottoposta alla pratica. Nell’immediatezza del fatto, i rischi sono costituiti da emorragie potenzialmente letali, infezioni e shock. A lungo termine le problematiche possono essere cisti, difficoltà nei rapporti sessuali, rischio di morte nel parto (sia per la madre che per il bambino), oltre che pesanti ricadute sulla salute mentale.
Chi subisce le mutilazioni genitali femminili?
Secondo le stime dell’OMS, circa 200 milioni di ragazze e donne in tutto il mondo devono convivere con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili.
Rispetto a 30 anni fa, la probabilità di essere sottoposte a MGF si è abbassata di 33 punti percentuali. Nonostante ciò, nel 2024 saranno circa 4,4 milioni le ragazze che rischiano di subire questa pratica: significa oltre 12.000 ogni giorno.
Sono 31 i Paesi del mondo che tutt’oggi praticano le mutilazioni genitali femminili, in prevalenza situati in Africa, nel Medio Oriente e nel Sudest asiatico. Queste pratiche, spesso, sono riscontrabili in singole comunità e gruppi etnici specifici, senza trovare omogeneità nella diffusione a livello nazionale.
È interessante, inoltre, ricordare che per un breve periodo questa consuetudine si diffuse anche in Occidente: intorno agli anni ’60 era medicalmente praticata per curare disturbi come l’isteria, attribuita esclusivamente all’universo femminile.
A seguito dei fenomeni migratori intercontinentali, oggi si possono rilevare casi di mutilazioni genitali femminili anche in Europa e in Nord America (circa 500.000 donne in entrambe le aree, secondo le stime del Parlamento Europeo e di Centers for Disease Control and Prevention).
La pratica colpisce soprattutto le donne con età inferiore ai 50 anni.
Nei Paesi in cui il fenomeno ha un’incidenza rilevante è possibile identificare tre categorie, a seconda della percentuale di donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni (fascia d’età riproduttiva) che hanno subito mutilazioni genitali femminili.
- Paesi ad alto impatto: in Somalia, Sudan, Egitto, Guinea, Sierra Leone e Mali, la percentuale di donne che hanno subito MGF è superiore al 90%.
- Paesi a medio impatto: Stati come l’Etiopia, il Kenya, la Nigeria, lo Yemen e l’Indonesia presentano un tasso di incidenza compreso tra il 20% e il 60%.
- Paesi a basso impatto: in alcune aree dell’Asia e dell’America Latina le MGF si manifestano con un tasso relativamente basso (inferiore al 20%) a livello nazionale, ma la loro presenza è particolarmente concentrata ed elevata nell’ambito delle singole comunità che mantengono forti legami con le tradizioni culturali su cui si fondano.
Perché si praticano le mutilazioni genitali femminili?
Si tratta di un’usanza antichissima riconducibile a civiltà pre-ebraiche, pre-cristiane e pre-islamiche. Alcune ricerche sembrerebbero farla risalire addirittura ai tempi dei faraoni, intorno al secondo millennio a.C..
Le ragioni per cui le MGF vengono praticate cambiano a seconda del luogo e dell’epoca storica che si prendono in considerazione e sono svariate, poiché includono una combinazione di fattori sociali e culturali presenti all’interno delle comunità e delle famiglie. Nonostante vi sia chi associa la pratica anche a fattori religiosi, non sono rintracciabili concreti elementi a supporto di tale tesi in alcun testo sacro.
Tali usanze, generalmente eseguite e tramandate dalle donne più anziane facenti parte del gruppo sociale, sono innanzitutto un elemento di controllo socioculturale sul corpo femminile da parte del gruppo stesso. In molte comunità che le praticano, le MGF sono considerate un rito di passaggio alla vita adulta o una condizione necessaria per il matrimonio. In altri casi, vengono eseguite per purificare il corpo femminile dalle impurità e dalla sporcizia a cui si ritiene sia esposto (secondo le evidenze, peraltro, la pratica va proprio nel senso opposto, ostacolando una corretta igiene intima).
Il comune denominatore rintracciabile alla base delle ragioni che legittimano tali usanze è l’assetto profondamente misogino su cui le società patriarcali che praticano le MGF si fondano. Le mutilazioni sono, in sostanza, una forma di controllo del corpo della donna, alla quale viene negato il diritto all’integrità fisica, al piacere sessuale e all’autonomia relazionale e riproduttiva.
Sottrarsi alla pratica è estremamente difficile, quando non impossibile, per via delle fortissime pressioni sociali a cui le donne sono sottoposte. Le conseguenze in caso di rifiuto sono l’esclusione e l’ostracismo dal gruppo di appartenenza, oltre che l’impossibilità di trovare un marito, componente essenziale per il mantenimento e la sopravvivenza della donna in tali contesti sociali.
Le mutilazioni genitali femminili: un problema sanitario
Le MGF sono un problema enorme per la salute delle donne. Abbiamo visto, infatti, che arrecano gravi danni psicofisici di breve e lungo termine.
Tali mutilazioni vengono effettuate generalmente prima del compimento del quindicesimo anno di età, molto spesso in contesti caratterizzati da pessime condizioni igieniche, utilizzando strumenti perlopiù rudimentali e non sterili, come coltelli, forbici, lamette da barba e spesso non disponendo di antibiotici, né di anestetici per attenuare il dolore. È stato dimostrato che un’alta percentuale dei soggetti che hanno subito queste alterazioni del corpo possono riscontrare emorragie ed infezioni, danni agli organi interni tali da determinare la sterilità e serie complicazioni al momento del parto.
Nel caso dell’infibulazione, poi, le donne possono essere sottoposte al procedimento più volte nel corso della vita: infibulate in tenera età, deinfibulate per agevolare il parto e poi successivamente sottoposte alla pratica una seconda volta. Questo significa infliggere atroci sofferenze a chi le subisce e mettere a rischio la vita dei neonati o delle stesse madri.
Secondo l’UNFPA, il costo economico totale – a livello globale – a carico dei sistemi sanitari nazionali per il trattamento delle vittime di MGF ammonta a circa 1,4 miliardi di dollari. Si tratta di risorse che potrebbero essere investite nella prevenzione e nel contrasto di differenti problemi e che, invece, vengono utilizzate per affrontare una piaga potenzialmente evitabile e di origine umana.
Lo status giuridico delle MGF
Nel 1993 l’ONU incluse le mutilazioni genitali femminili nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne e dal 2003 promuove, ogni 6 febbraio, la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili.
L’OMS considera la circoncisione femminile una “violazione dei diritti umani delle donne”, in virtù delle convenzioni e i trattati internazionali sui diritti delle donne (Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna del 1979 e Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia 1989) che identificano le MGF come esperienze che attentano all’integrità e alla salute psicofisica delle donne.
Come è considerata e trattata la pratica nei vari Paesi del mondo?
Nella quasi totalità dei Paesi Occidentali, in gran parte dell’Africa, oltre che in alcuni Stati del Medio Oriente e in India, le MGF sono illegali ed esiste un reato specifico che le vieta (Paesi in verde scuro) o, in alternativa, sono punibili mediante l’applicazione di una fattispecie legale generica (Paesi in verde chiaro).
In Nigeria e Indonesia – dove peraltro è riscontrabile un’incidenza medio-alta – le MGF sono vietate solo parzialmente o, comunque, il loro trattamento giuridico è indefinito (Paesi in giallo).
In alcuni Paesi africani e del Sudest asiatico, parte del Medio Oriente, Russia e Colombia, invece, le mutilazioni genitali femminili non costituiscono reato e chi le compie non affronta alcuna conseguenza legale (Paesi in rosso).
Nonostante gli sforzi congiunti di svariati organismi nazionali ed internazionali, il fenomeno è ancora ben lontano dall’essere eliminato, anche e soprattutto in considerazione del fatto che – essendo saldamente ancorato a fattori culturali e sociali – non è certo sufficiente la criminalizzazione della pratica per contrastarlo efficacemente.
L’azione di Alice for Children
Alice for Children opera in Kenya dal 2006 e assiste, anche sotto il profilo sanitario, migliaia di bambine e donne che vivono nelle baraccopoli di Dandora e Korogocho, a Nairobi.
Questo è possibile grazie ad un consolidato rapporto con le principali strutture ospedaliere di Nairobi, come il Neema Hospital, fondato dalla Onlus italiana World Friends e grazie ad un personale sanitario competente. Ma soprattutto è possibile grazie alle migliaia di persone che ci sostengono ogni anno e supportano la nostra azione al fianco di bambini e bambine degli slum di Nairobi.
Per innescare un cambiamento in grado di difendere i diritti delle bambine più vulnerabili e cambiare le loro vite, abbiamo messo in campo diverse iniziative.
Con la campagna a favore delle bambine delle baraccopoli, difendiamo i loro diritti, lottando contro le discriminazioni che quotidianamente subiscono. Mediante un corso di educazione sessuale, diffondiamo la consapevolezza su temi fondamentali come le malattie sessualmente trasmissibili, la violenza di genere e la lotta contro lo stigma legato al ciclo mestruale.
In questo modo garantiamo alle bambine e alle donne il diritto alla salute, che significa permettere loro di condurre una vita libera e indipendente, di avere un futuro sereno. Di vivere in un contesto in cui l’uguaglianza di genere non sia soltanto un sogno, ma la realtà quotidiana.
Lontane da mutilazioni, abusi e violenze.