storia politica del Kenya

Storia politica del Kenya: dall’indipendenza a oggi

Quest’anno si svolgeranno le elezioni presidenziali keniane. Fino a oggi, la storia politica del Kenya è stata dominata da poche personalità, pochi uomini che hanno monopolizzato il potere: Jomo Kenyatta, Daniel Arap Moi, Mwai Kibaki e Uhuru Kenyatta. Di seguito si ripercorrerà la storia politica del Kenya dalla seconda metà del Novecento passando proprio attraverso queste figure.

Jomo Kenyatta, padre del Kenya indipendente

La figura più importante della recente storia politica del kenya, durante il colonialismo britannico, Jomo Kenyatta fu rappresentante e difensore dei diritti del popolo Kikuy,u nonché un panafricanista e un indipendentista, tanto che nel 1947 venne nominato presidente della Kenya African National Union (KANU). Dopo la dura repressione dei Mau Mau, di cui Kenyatta fu accusato di esserne l’ispiratore, e per questa ragione fu condannato a sette anni di reclusione, il Governo britannico accelerò l’introduzione di riforme politico-costituzionali nella direzione dell’autogoverno e della piena indipendenza del Kenya. La KANU si impose come principale forza politica e ottenne dal governo la liberazione di Kenyatta.

C’erano posizioni diverse sul futuro della nazione. C’era chi chiedeva una forma di Stato unitario e chi una forma di Stato federale. Nel marzo 1963 si optò per una forma di Stato federale.  Il Kenya ottenne la piena autonomia il 1º giugno 1963 e l’indipendenza il 12 dicembre 1963, e solo il 12 dicembre 1964 divenne una Repubblica di tipo presidenziale. Jomo Kenyatta divenne il primo presidente, carica che avrebbe mantenuto fino alla morte, avvenuta nel 1978.

Jomo Kenyatta fin dall’inizio improntò il proprio governo al centrismo e all’atlantismo, dimostrandosi capace di preservare i delicati rapporti tra differenti gruppi etnici e l’unità del Paese. Politicamente, Kenyatta istituì un regime monopartitico basato sulla KANU. Divenne il più grande latifondista del Kenya e uno dei maggiori di tutta l’Africa, perché quando giunse al potere sequestrò le enormi proprietà terriere dei coloni non redistribuendole alla popolazione. 

La storia politica del Kenya dopo Jomo Kenyatta

Morto Kenyatta (1978), gli succedette Daniel Arap, che si trovò a fronteggiare dissensi e tensioni interne, culminate in un tentativo di colpo di stato nel 1982. Moi, riconfermato nel 1983 e poi ancora nel 1988, instaurò una politica di oppressione che accrebbe le tensioni socio-politiche e quelle interetniche. Alla fine degli anni Ottanta lo scontento per la corruzione dilagante nel governo e le difficoltà economiche del Paese si espresse nella richiesta dell’abolizione del sistema a partito.

Solo nel dicembre 1991, a seguito delle sempre crescenti pressioni interne e internazionali, l’Assemblea straordinaria della KANU approvò un documento che legalizzava i partiti di opposizione e sanciva sa il pluralismo politico. Alla fine del 1992, in un clima di nuovi scontri etnici, Moi venne ancora una volta rieletto alla presidenza della Repubblica e la KANU conquistava la maggioranza dei seggi dell’Assemblea Nazionale.

La campagna elettorale del 1997 fu caratterizzata in tutto il Paese da violente manifestazioni di protesta contro la politica economica del governo in coincidenza con la sospensione degli aiuti internazionali; ma, nonostante la crescita interna dell’opposizione e le denunce di brogli e irregolarità di voto, Moi fu confermato alla presidenza e la KANU ottenne la maggioranza nell’Assemblea Nazionale. Dopo un primo rimpasto di governo nel 1999, nel giugno 2001 Moi decise di costituire un nuovo governo di coalizione, in cui entrò anche il leader storico dell’opposizione, Raila Odinga.

I primi 20 anni del ventunesimo secolo

Nelle elezioni presidenziali svoltesi alla fine del 2002 Moi, dopo 24 anni di governo, non si presentò come candidato e il candidato dell’opposizione, l’economista Mwai Kibaki, diventò il terzo presidente del Kenya. Nonostante le promesse elettorali, il nuovo presidente non riuscì a migliorare le condizioni economiche e politiche del Paese, dove corruzione e scarsa sicurezza continuavano a essere problemi rilevanti. Nel 2005 tentò di rafforzare i propri poteri presentando un referendum sulla modifica della Costituzione, ma prevalsero i pareri contrari, e come conseguenza Kibaki si dimise.

Rivinse le elezioni del 2007, nonostante le contestazioni di Odinga e degli osservatori internazionali. Nel Paese scoppiarono scontri violenti tra le fazioni politiche (e in parte etniche) che causarono oltre 1000 morti. La crisi si risolse nel 2008 dopo che l’intervento dell’ONU e la nomina di Odinga come  primo ministro di un governo di unità nazionale. nel 2013 si sono svolte le elezioni in un clima di forte tensione sociale: pesanti disagi si sono registrati nella fase di spoglio dei voti per il malfunzionamento dei sistemi elettronici di invio dei dati e reiterate accuse di brogli.

Odinga, leader della Coalition for reform and democracy (CORD), è stato battuto di misura dal vicepremier e candidato della Jubilee coalition, Uhuru, Kenyatta (50,7% delle preferenze). Ancora Kenyatta ha vinto nel 2017 col 54,3% su Odinga (44,7%). 

Le elezioni del 2022

In vista delle elezioni 2022, Odinga e William Ruto si contendono la presidenza, dopo che la Corte Suprema ha bocciato il tentativo di riforma costituzionale di Kenyatta che gli avrebbe permesso di rimanere al potere come primo ministro.

Però, chi vincerà le elezioni dovrà fare i conti con un paese con grandi problemi esacerbati dalla pandemia. In Kenya si estendono baraccopoli immense accanto a discariche fra le più grandi del continente, dove donne, uomini e bambini vivono e lavorano ogni giorno: sono più di 3 milioni le persone che vivono nei soli slum di Korogocho e Dandora, dove Alice for Children opera da più di 15 anni, e circa 1 milione e mezzo i minori soggetti a sfruttamento.

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