esperienze di volontariato

Andare in Africa a fare volontariato: la storia di Davide

Davide è partito la prima volta per andare in Africa a fare volontariato con Alice for Children nel 2016. Dopo tre anni da quell’esperienza, ha deciso di tornare a Nairobi per due mesi, per un progetto importante che sta portando avanti con l’Università di Edimburgo, dove sta frequentando un Master in International Development. Gli abbiamo fatto qualche domanda su questa seconda avventura in Kenya; ecco cosa ci ha raccontato:

Com’è stato tornare a Nairobi per la seconda volta?

Ne avevo bisogno. La prima esperienza a Nairobi è stata travolgente. Questa volta invece mi sono sentito consapevole di tutto ciò che facevo. È stato interessante vedere come tante cose sono cambiate e stanno cambiando, come si stanno sviluppando i progetti che esistevano già tre anni fa e come ne siano stati avviati di nuovi. Sono stato anche molto contento di rincontrare lo staff locale e alcuni dei bambini di Alice Village, molti dei quali ricordavano il mio nome, o quantomeno il mio volto.

Fatta eccezione per il lavoro di ricerca che ho condotto, la principale differenza di questa esperienza con quella precedente è stata che per diverse settimane sono stato l’unico volontario presente ad Alice Village. Andare in Africa a fare volontariato con altre persone è sempre appagante, tutte persone meravigliose. La loro assenza mi ha permesso di condividere molti più momenti con le persone che vivono nella Children’s Home, soprattutto i bambini, di osservarle e di ascoltarle. È stata un’esperienza intensa. Sono stato bene.

In cosa consisteva il tuo lavoro di ricerca per la tesi?

[…] L’obiettivo [era quello] di analizzare l’impatto socioeconomico del sostegno a distanza. Durante i due mesi trascorsi in Kenya, in collaborazione con gli assistenti sociali delle scuole di Dandora e Korogocho, ho condotto 75 interviste ai genitori dei bambini che ricevono la sponsorizzazione. […] ho parlato con le famiglie dei disagi che devono affrontare ogni giorno, la precarietà delle loro condizioni e le loro necessità più immediate.

Abbiamo discusso l’importanza del sostegno a distanza e come questa forma di supporto non permetta “solamente” ai bambini di andare a scuola ma aiuti, in senso più ampio, anche le famiglie a far fronte alle difficoltà quotidiane. Infine, ho provato, con l’aiuto degli intervistati, a capire se e come il sostegno a distanza possa essere migliorato in modo da poter incontrare ancor di più le loro esigenze. 

Come mai hai scelto di fare la tua ricerca proprio a Nairobi con noi?

Prima, durante e dopo la mia esperienza di volontariato mi ero trovato benissimo con lo staff di Twins di Milano, così come con lo staff di Nairobi durante il mio primo soggiorno. Ero sicuro che queste persone avrebbero potuto aiutarmi ad organizzare e portare avanti il mio fieldwork. Così è stato. Inoltre, le baraccopoli sono un luogo che non solo mi aveva colpito, ma anche incuriosito moltissimo.

Ho pensato che fare ricerca in questo posto mi avrebbe potuto aiutare a rispondere ad alcune delle tantissime domande che avevo lasciato in sospeso dopo la precedente esperienza. E magari avrebbe anche potuto aiutare le persone che questo posto lo abitano. E poi, a dire il vero, poco prima di lasciare Alice Village tre anni fa, mi ero ripromesso e avevo promesso ad alcune persone che sarei ritornato… Andare in Africa a fare volontariato in una realtà come quella di Alice for Children è un’esperienza unica nel suo genere.

È stato difficile portare avanti il tuo lavoro? Se sì, perché?

È stata una bella sfida. Raccogliere dati, preparare questionari e condurre interviste sono attività che non avevo mai fatto prima. E mi trovavo in un contesto nel quale inevitabilmente ero percepito come un estraneo. In questo senso l’aiuto degli assistenti sociali è stato preziosissimo: hanno contattato gli intervistati informandoli della mia volontà di intervistarli e mi hanno garantito legittimità agli occhi delle persone che avevo di fronte, una cosa fondamentale quando si devono fare interviste.

Infine, considerando che una buona parte delle interviste sono state condotte in Swahili (la lingua locale), e non in inglese, gli assistenti sociali hanno anche ricoperto il ruolo di traduttori. Le interviste in Swahili sono state il maggior ostacolo alla mia ricerca, perché è molto complicato durante un breve scambio creare un legame di fiducia con una persona che non parla la tua lingua.

Hai ottenuto le informazioni che cercavi?

Devo essere sincero, sono partito con più domande che certezze riguardo ciò che volevo studiare. Sono partito con l’idea di voler ascoltare, conoscere ed imparare. E sono tornato a casa soddisfatto. Come detto in precedenza, ho intervistato moltissime persone. Ciascuna di queste mi ha insegnato qualcosa, e le loro testimonianze sono ora i tantissimi dati che dovrò analizzare.

A parte la tua ricerca, cosa ti ha lasciato questa volta andare in Africa a fare volontariato con Alice for Children?

La voglia di tornarci ancora…

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